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Visualizzazione dei post da marzo, 2022

COME PESCI NEL MAR ROSSO (incipit romanzo)

  Capitolo 1 “ Carlo! Vieni a giocare con noi, non stare sempre con le femmine!” Un bambino di circa cinque anni, stava richiamando un amichetto di asilo, affinché rientrasse nel gruppo dei maschi. L’altro, quello a cui era rivolta la richiesta, si chiamava Carlo Rastelli e preferiva passare il suo tempo in compagnia di Irene Romagnoli, una coetanea, vicina di casa e, in quel momento, anche compagna di scuola materna. I due bambini, Carlo ed Irene, si conoscevano praticamente dalla nascita e non c’era stato giorno, eccetto quelli in cui erano stati malati, o erano stati portati da qualche parte dalle rispettive famiglie, che non avessero passato insieme. Si consideravano a vicenda, ognuno il migliore amico dell’altro, “ Irene, vuoi che ti prendo la bambola quella grande e giochiamo a mamma e papà?” “ Va bene, però io sono la mamma e tu il signore del negozio e noi veniamo a comprare le cose.” “ E il papà chi è?” “ Il papà non c’è, tanto quella che importa è la mamma.” “

LEVATI DALLA PELLE (incipit romanzo)

  Capitolo 1 Pedro Lucchesi amava Myriam Tavano. L'amava così tanto che non riusciva a vedere niente nel suo futuro che non la comprendesse. Una casa insieme, dei figli insieme, le vacanze insieme, il tempo libero insieme, la vecchiaia insieme, tutta una vita sempre insieme. Era talmente convinto che il loro amore sarebbe durato in eterno, che gli era sembrata la cosa più normale del mondo, quella di tatuarsi il nome di lei sul dorso della mano destra, proprio nel punto dove avrebbe potuto vederlo più spesso. Era un bel tatuaggio: la scritta MYRIAM, nello stile del logo dei Metallica, usciva da un groviglio di fiori e i fiori nascevano dalle lettere della scritta stessa. Per farselo fare Pedro, aveva speso anche una bella cifra, perché lo aveva voluto realizzato a colori, con tinte vivide e di impatto. Una cafonata, ma gli piaceva da impazzire. Pedro lavorava in uno dei tanti calzaturifici della zona. Dopo il diploma di perito chimico, era stato tentato di iscriversi all’un

LA NOTA BLU DELL'ARCOBALENO (incipit romanzo)

  Prologo Louisiana, 1832 Il forte in cui era di stanza la sparuta guarnigione del colonnello Burrel non sarebbe mai entrato nei libri di storia, né avrebbero mai avuto una minima possibilità di entrarci i soldati che lo occupavano, e tantomeno il suo comandante. Everett Willoughby Burrel era il quarto figlio di un importante uomo di affari del New England e l'assegnazione a quel preciso forte era stata chiaramente una punizione nei suoi confronti, ma lui non la sentiva tale. I Burrel non erano state una delle prime famiglie a trasferirsi dall'Inghilterra alle colonie. Ramo cadetto di un casato decaduto, i Burrel erano affaristi da generazioni; erano giunti nella nuova nazione americana solo cinquant'anni prima, quando quest'ultima non era più un cavallo selvaggio da domare, almeno lungo la costa atlantica, ma una terra di opportunità, per chi avesse saputo sfruttarle. Si erano stabiliti nel New Hampshire, dove avevano intessuto una fitta rete di contatti

CHI SEMINA DATTERI, NON MANGIA DATTERI

  Quando ero piccolo e i datteri apparivano miracolosamente solo in occasione del Natale, qualcuno, non ricordo chi, mi raccontò il proverbio che dà il titolo a questo breve scritto. Era un antico proverbio arabo... O marocchino... O di qualsiasi posto dove crescono i datteri e dove la gente, evidentemente, ha motivo di seminarli. La dotta spiegazione fu che il dattero darebbe i primi frutti dopo cento anni dalla sua nascita, per cui nessuno che ne avesse piantato uno nuovo, sarebbe vissuto abbastanza da godere del primo raccolto. Ora, non so quanta verità ci sia in questo dal punto di vista dendrologico, però è stato un proverbio che, fin da subito, mi ha portato a varie riflessioni; la prima, in tenera età, appena udito il proverbio per la prima volta, fu che la vita è un lampo. Successivamente, di Natale in Natale, con l'adolescenza, era comodo pensare che, in fin dei conti, non meritava affannarsi per pensare ad assicurarsi un futuro: meglio vivere il presente in totale ril

OCCHI DI DONNA (da un’idea di Roberto Benucci)

Mi sveglio. Apro gli occhi ed è ancora buio. Mi trovo sdraiato su di un letto. Allungo la mano e sento il freddo metallo delle sbarre della testata. Mi tiro su e intanto gli occhi si abituano all’oscurità. Sono in una specie di stanza di ospedale, attrezzata, ma quasi vuota. C’è solo il letto dove sono seduto e alcune apparecchiature spente. Ho addosso una tuta che non riconosco. La mia testa è vuota, non ricordo neanche il mio nome. Mi risuonano nella mente solo alcune parole “occhi di donna” e un dolore insistente alla base del cranio. Mi alzo, infilo delle calzature della mia misura che trovo ai piedi del letto e provo a uscire dalla stanza. Se qualcuno prova sse a fermarmi, almeno potr ei chiedergli qualche spiegazione, ma non c’è nessuno. Attraverso un lungo corridoio bianco e completamente privo di qualsiasi attività. Alla fine del corridoio c’è una porta, la apro, la oltrepasso e sono fuori. Il posto dove ero, è una costruzione anonima su di una collina. In basso vedo le lu