LA NOTA BLU DELL'ARCOBALENO (incipit romanzo)

 

Prologo



Louisiana, 1832



Il forte in cui era di stanza la sparuta guarnigione del colonnello Burrel non sarebbe mai entrato nei libri di storia, né avrebbero mai avuto una minima possibilità di entrarci i soldati che lo occupavano, e tantomeno il suo comandante.

Everett Willoughby Burrel era il quarto figlio di un importante uomo di affari del New England e l'assegnazione a quel preciso forte era stata chiaramente una punizione nei suoi confronti, ma lui non la sentiva tale. I Burrel non erano state una delle prime famiglie a trasferirsi dall'Inghilterra alle colonie. Ramo cadetto di un casato decaduto, i Burrel erano affaristi da generazioni; erano giunti nella nuova nazione americana solo cinquant'anni prima, quando quest'ultima non era più un cavallo selvaggio da domare, almeno lungo la costa atlantica, ma una terra di opportunità, per chi avesse saputo sfruttarle. Si erano stabiliti nel New Hampshire, dove avevano intessuto una fitta rete di contatti e di operazioni commerciali, che li avevano resi non meno ricchi e sicuramente più influenti.

Everett era un componente atipico della sua dinastia: era un sognatore, amante dell'arte, dell'avventura, poco incline agli affari e totalmente disinteressato all'alta società cui apparteneva e al matrimonio.

Suo padre l'aveva obbligato a entrare nell'esercito, come via di fuga onorevole dalla vita che non voleva. Grazie al nome e alla liquidità dei Burrel, Everett sarebbe diventato facilmente ufficiale, cosa che avrebbe comunque rappresentato un buon compromesso e avrebbe dato al componente della famiglia una posizione dignitosamente di prestigio e spendibile nei circoli buoni.

Dopo pochi anni Everett Burrel era diventato colonnello, ma non aveva avuto un incarico specifico. L'esercito era niente più che una vetrina per la sua famiglia, in luoghi in cui un ufficiale era sempre benvenuto. Frequentava salotti con generali decrepiti e politici in cerca di consenso, ma la sua indole non era adatta a certi consessi.

Quando il presidente Jackson firmò l'Atto di rimozione degli indiani, nel 1830, Burrel scosse un po' troppe volte la testa e un po' troppo forte, per mostrare il suo dissenso nei confronti della nuova legge e dell'operato del Presidente, anche davanti alle persone sbagliate e questo dette un forte freno alla sua carriera di ufficiale da operetta.

Solo l'influenza dei Burrel e il loro ascendente sulla nuova classe politica americana, evitò a Everett di essere radiato dall'esercito per tradimento. Il rischio che corse maggiormente fu quello di perdere i gradi, ma, alla fine, la sua pena fu scontata diversamente. Everett Willoughby Burrel, fu assegnato a un piccolo forte, in realtà un avamposto, della Louisiana, con il suo grado intatto, ma in una posizione in cui questo non avrebbe avuto nessun valore.

Il forte del colonnello Burrel, non aveva neanche avuto un nome istituzionale. Era un piccolo avamposto al confine del “Neutral Ground”, il cuscinetto con i possedimenti spagnoli del Texas, dove si era stabilito una trentina di anni prima un gruppo di creek coushatta, fuggiti davanti all’espansione coloniale europea nei loro territori di origine; quella dove era situato il forte, avrebbe dovuto essere una zona tranquilla, visto che dal 1821 era passata sotto il controllo degli Stati Uniti e che la Spagna aveva rinunciato a ogni pretesa su di essa. Ufficialmente lo scopo dell'esistenza di quel minuscolo distaccamento era quello di monitorare l'attività dei residenti creek e instaurare rapporti pacifici, ma in realtà era in tutti i sensi un luogo di confino per soldati vecchi, pessimi elementi e colonnelli invisi al potere. Successivamente quando gli spagnoli iniziarono a organizzare nell’area gruppi di sbandati, anche pellerossa, per destabilizzare l'ordine lungo i confini, vennero assegnati al forte altri uomini, portando il totale a una ventina, e un ufficiale in seconda giovane, ma che godeva di fiducia da parte dello Stato Maggiore.

Anche se non aveva un vero nome, il forte veniva chiamato da tutti Fort Rainbow. Si raccontava che, quando i soldati arrivarono per occupare l'avamposto, dopo un violento temporale di quelli che a volte ci sono in Louisiana, sopra le casupole di legno si fosse formato un arcobaleno intero e dai colori vividi come raramente si vedono e che da questo evento nacque il nome del fortino. Burrel non scoraggiò mai questo modo di chiamare quello che altrimenti sarebbe stato chiamato col suo cognome, ma fece propria l'idea dell'arcobaleno, come simbolo di pace e ponte fra la sua cultura e quella dei creek.

Fort Rainbow era situato lungo una strada secondaria, che andava a morire in piena zona creek e che quindi, a maggior ragione dopo l'Atto, non era utilizzata praticamente da nessuno. La strada, insolitamente, passava in mezzo agli edifici che componevano il forte, senza nessuna recinzione, quasi come se questa non fosse neanche una vera istallazione militare, ma una fermata di una diligenza verso il nulla. Venendo dalla città più vicina, sulla destra vi era la baracca degli ufficiali. Era una struttura in legno con due ingressi, che portavano ognuno a un diverso ambiente. La stanza più grande era a disposizione del capitano Burrel che la utilizzava sia come ufficio che come alloggio, mentre la sala adiacente era l'alloggio dell'unico altro ufficiale: il tenente Donovan Graham, fresco di nomina e di scuola militare. Graham non era considerato un buon ufficiale, ma veniva visto dai suoi superiori come una risorsa fedele e utile a controllare le intemperanze di Burrel. Per questo aveva sostituito il precedente graduato, il sergente Goodman, che era stato inizialmente mandato con Burrel per smaltire alcuni decenni di sbronza, in attesa del congedo e che era stato, invece, riassegnato a nuovo incarico.

Dall'altra parte della strada, ad alcuni metri di distanza da questa, allo scopo di lasciare lo spazio necessario per una minimale piazza d'armi, c'erano le baracche dei soldati. Le “baracche” erano in realtà un unico edificio, poco più grande di quello degli ufficiali, che avrebbe dovuto ospitare una decina di unità, ma che adesso, ne accoglieva quasi il doppio, tanto che parte dei beni personali della truppa, veniva stipata sotto una tettoia che era appoggiata su un fianco del capannone, verso i recinti degli animali. Infine dietro i recinti, si ergeva un capannone con la parte in basso in pietra, che fungeva da magazzino per le armi, per il cibo e per la poca attrezzatura a disposizione del distaccamento, oltre che essere utilizzato con poca perizia culinaria, come cucina. Era un edificio più alto degli altri di almeno un paio di metri e sul tetto aveva un abbaino, su cui era stata montata una piattaforma, che serviva come postazione di vedetta per l'unico soldato che, a turno, ricopriva tale ruolo.

A Fort Rainbow non c'era neanche una donna. Non era stata assegnata nessuna lavandaia, e nessuno fra i soldati aveva una moglie da impiegare a tale scopo.

I rapporti con i creek erano molto buoni. Gli abitanti del villaggio erano pacifici e venivano spesso al forte per intrattenersi coi soldati e scambiare alcune merci; le città erano ben più distanti, rispetto al villaggio creek e la vita si era naturalmente spostata verso la convivenza con i vicini più prossimi. Alcuni soldati erano più diffidenti verso gli indiani, così diversi da loro, ma la diffidenza si dissolveva nelle nuvole di fumo del tabacco condiviso e nell'alcool che scorreva a fiumi, quando i cacciatori della tribù, tornavano da una battuta generosa e portavano in dono ai militari succulenti tagli di bisonte, da consumare insieme. Le visite da parte delle donne erano abbastanza rare e improbabili, invece e questa soluzione aveva trovato d’accordo fin da subito, sia il comandante del forte, che gli anziani del villaggio. Non erano rare, invece, le incursioni dei bambini, tutti interessati ai cavalli e alle armi dei soldati, mentre questi ultimi si esercitavano con un pubblico entusiasta e stupefatto.

Tutti tranne uno. C'era un giovane uomo che veniva a Fort Rainbow, per incontrare l'anziano trombettiere del forte e stare con lui a sentirlo suonare e parlare di musica.





Capitolo 1



Barry! Barry!” Un ragazzino indiano si era staccato dal gruppetto dei suoi compagni, tutti più piccoli di lui, per correre incontro a un soldato abbastanza anziano, con una soffice barba ogni giorno più bianca, che stava pulendo un paio di occhialetti rotondi, con la lente destra scheggiata, usando un panno rosso lucente. L'uomo posò il panno vicino a una tromba di ottone ossidato, che era appoggiata sopra di un secchio capovolto, accanto alla cassa di legno su cui era seduto e si infilò gli occhiali.

Ben tornato Chuck! Ieri non ti ho visto e ho creduto che ti fossi stancato di questo povero vecchio.” urlò Barry di rimando al ragazzo. Ovviamente il giovane non si chiamava Chuck. Il suo nome in lingua mvskoke era Kisecawchuck che voleva dire più o meno, "stella che si vede di giorno". Barry, al di là che non riusciva a pronunciare di fila più di due sillabe di quel nome, trovava questo significato molto poetico, ma allo stesso tempo poco virile. E poi la sua educazione cattolica, lo spingeva ad attribuire alla stella del mattino una valenza sottilmente blasfema e luciferina. Per questo motivo aveva deciso di accorciare il nome del giovane alla sua sola parte finale e chiamarlo Chuck: un nome vero, adatto a un giovane guerriero, forte e coraggioso!

Ieri gli anziani hanno fatto racconti per i bambini” si spiegò Chuck. Il ragazzo aveva quasi l'età per diventare adulto; di lì a poco sarebbe entrato nel mondo dei grandi, diventando un guerriero e un cacciatore. Parlava abbastanza bene la lingua inglese, perché quando era piccolo e le tensioni dovute alla Guerra dei Bastoni Rossi si erano ragionevolmente attenuate, un gruppo di missionari del convento della città più vicina, aveva pensato di avvicinare i giovani della tribù, per evangelizzarli facendo loro un po' di scuola. L'esperimento era durato poco, in quanto i ragazzi imparavano, ma al momento in cui fu chiaro che lo scopo finale dei religiosi, cioè quello dell'indottrinamento, non sarebbe stato raggiunto, poiché la cultura nativa era ben radicata e forte, rapidamente le lezioni cessarono e i frati tornarono alle loro occupazioni più importanti. D'altro canto, a che serve saper leggere e parlare inglese, se non per studiare la Bibbia e partecipare alle funzioni?

Molto bene! E' sempre importante sapere chi siamo e da dove veniamo.”

E tu vieni dalla terra verde nel mare, che si chiama... ehm... Ril...”

Irlanda. Ed è il paese più bello del mondo. Però io sono nato qui e la conosco solo per i racconti di mio padre, ma so che è bellissima. Lo sento dentro il mio cuore”

Chuck ascoltava sempre estasiato i racconti del vecchio soldato, che parlavano della terra dei suoi padri. Le storie narravano di un paese verde come nessun altro. Ma era un paesaggio verde del colore della vita, non come il colore della morte che permeava tutto in quella parte di America, diceva sempre Barry. Chuck non capiva, perché aveva visto solo le terre della Louisiana in vita sua, anzi solo di quella piccola zona della Louisiana e il verde gli sembrava sufficientemente verde. Ma forse il verde dell'Irlanda era un verde ancora più intenso, protettivo e... verde. E poi, secondo Barry, l'Irlanda era abitata da tanti piccoli spiriti che erano a volte dispettosi, a volte generosi, oppure avidi, con caratteristiche fin troppo umane, rispetto agli spiriti che gli anziani gli avevano insegnato a temere e venerare. L'Irlanda doveva essere un luogo magico.

Barry, me la fai sentire?”

Vuoi sentire la mia, o vuoi che ti suoni qualche altra cosa?”

La tua! La tua!”

Va bene. Fa piacere a questo vecchio, avere qualcuno che apprezza la sua musica! Allora ascolta…”

Barry prese in mano la sua tromba, la portò alle labbra e iniziò a suonare una melodia struggente, resa malinconica dall’uso di terze maggiori, ma leggermente calanti alle minori, con cambi di ritmo improvvisi. Ogni volta che la suonava, a un certo punto, il vecchio Barry si lasciava trasportare e iniziava a cambiare la melodia, improvvisando sempre in modo diverso, ma che lasciava ancora trasparire il tema dominante del brano. Anche quella volta il trombettista si lasciò andare. Chuck lo guardava meravigliato, in parte trascinato dalla musica, ma soprattutto stupito dall’effetto di beatitudine e coinvolgimento che quella pratica aveva sul suo amico. La faccia di Barry trasfigurava durante le sue esecuzioni e quella volta non fu diversa dalle altre.

Mentre era nel bel mezzo di un pezzo improvvisato, che gli pareva particolarmente indovinato, Barry Doherty percepì una presenza alle sue spalle, vide Chuck scurirsi in volto e si sentì toccare su una spalla.

Soldato Doherty, non ha niente altro da fare, che stare a suonare per un pubblico così poco… stimolante?”

A parlare era stato il tenente Donovan Graham, il secondo in comando all’interno dell’avamposto. Si era avvicinato con lo sguardo torvo, che lo accompagnava sempre, soprattutto in presenza dei creek, che era evidente non sopportasse.

Beh, signore… La sveglia, l’ho suonata stamattina.. l’adunata, l’abbiamo già fatta… Per il silenzio, direi che è ancora presto… Non so, se vuole ordinare una carica, laggiù in fondo ho visto un gruppo di cespugli particolarmente minacciosi! Altrimenti, no: direi che non ho di meglio da fare.” rispose Barry.

Il tenente Graham sgranò gli occhi, come se fosse stato colpito da un proiettile in pieno petto. La reazione ironica e inaspettata del suo sottoposto, lo aveva spiazzato. Non riuscì a formulare in tempo utile una controreazione che avesse potuto essere soddisfacente ed era restato zitto. In condizioni normali, in un vero forte, con altri ufficiali che non fossero il solo colonnello Burrel, avrebbe potuto invocare la corte marziale, per una risposta del genere, ma lì, fuori dal mondo civile, tra indiani zotici e pessimi soldati, tutte le sue ragioni sarebbero cadute nel vuoto.

Dette un ultimo sguardo sprezzante a Doherty, poi uno più lungo e più carico di odio a Chuck e girò su sé stesso, masticando parole incomprensibili, ma dette col tono di chi stava lanciando una minaccia. Parole che si spensero in dissolvenza, mentre l’uomo che le stava pronunciando si allontanava, fino a sparire dentro una porta che si chiuse alle sue spalle.

Commenti

  1. SINOSSI

    Louisiana, 1832. Nei pressi della zona neutrale al confine col Texas, in un avamposto dell'esercito, un giovane nativo americano fa amicizia col trombettiere della guarnigione. La musica li unirà, ma la vita li separerà e il giovane dovrà intraprendere un viaggio verso la sua salvezza, aiutato dalla musica e ostacolato dai pregiudizi. La menzogna porterà il passato del vecchio musicista a scontrarsi col futuro del ragazzo, il tutto in un romanzo di accurata ambientazione storica.

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