CHI SEMINA DATTERI, NON MANGIA DATTERI

 Quando ero piccolo e i datteri apparivano miracolosamente solo in occasione del Natale, qualcuno, non ricordo chi, mi raccontò il proverbio che dà il titolo a questo breve scritto. Era un antico proverbio arabo... O marocchino... O di qualsiasi posto dove crescono i datteri e dove la gente, evidentemente, ha motivo di seminarli.

La dotta spiegazione fu che il dattero darebbe i primi frutti dopo cento anni dalla sua nascita, per cui nessuno che ne avesse piantato uno nuovo, sarebbe vissuto abbastanza da godere del primo raccolto.

Ora, non so quanta verità ci sia in questo dal punto di vista dendrologico, però è stato un proverbio che, fin da subito, mi ha portato a varie riflessioni; la prima, in tenera età, appena udito il proverbio per la prima volta, fu che la vita è un lampo. Successivamente, di Natale in Natale, con l'adolescenza, era comodo pensare che, in fin dei conti, non meritava affannarsi per pensare ad assicurarsi un futuro: meglio vivere il presente in totale rilassatezza.

Infine, da adulto, con la globalizzazione che ha rifornito gli scaffali degli ipermercati, di datteri tutto l'anno, ho capito perché i vecchi tizi-del-posto-dei-datteri piantavano alberi di cui mai avrebbero visto i frutti. In realtà, era facile da intuire, ma il vissuto fa capire oltre la forma meccanica dei concetti. Fa arrivare all'anima dell'idea.

Il dattero appena piantato servirà alla generazione successiva, come adesso si sfruttano quelli piantati dalle generazioni precedenti. È un pensiero banale, ma fondamentale.

Nel mondo siamo di passaggio e prendiamo quello che i nostri genitori ci hanno lasciato e a nostra volta dobbiamo pensare ad un lascito per i nostri figli. Questo è l'amore che ha sempre fatto andare avanti il mondo, ma è un sentimento che sbiadisce annacquato da troppi principi, troppe teorie, troppe riflessioni e troppe distrazioni.

Bisognerebbe ritrovare questo modo semplice di pensare e di amare i nostri discendenti; ci aiuterebbe a lasciare un mondo migliore ai nostri figli, pensando un po' meno a noi, adesso, e un po' più al futuro.

Assicuriamoci che ci siano sempre datteri da mangiare, anche fra cento anni.



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