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OGNI MALEDETTA DOMENICA

A scuola ci facevano studiare “Il sabato del villaggio”. Era facile capirne il senso in quella età spensierata: l’attesa del piacere è essa stessa il piacere, avrebbe detto qualcun altro. Per noi bambini era semplicemente vero che il sabato era più bello della domenica, perché avevamo la visuale di un giorno senza scuola in più. Poi si cresce, si va al lavoro, si odia quello che si fa e si aspetta ancora che la settimana finisca presto . Però la domenica non è più così attraente. Da quando non ci sei più, i miei dì di festa li passo da solo e mi fanno paura. Aspetto i fine settimana e li temo. Vivo in costante disequilibrio, aspettando quello che non vorrei arrivasse mai. Sono domeniche tristi, come quella in cui ti ho per duta . Mi manchi, ma oggi non mi va di venire a piangere sulla tua tomba. È pur sempre domenica.

SPENGO LA TV

“ Vieni a dormire?” “ Sì. Spengo la TV e arrivo” Vado a letto sempre più tardi. Non dormo più bene da quel giorno. La guerra ci colse tutti di sorpresa e ha cambiato la vita di ognuno. Adesso è tornata la pace, ma ciò che ho visto non mi ha più fatto dormire bene. “ Hai spento?” “ Ancora un momento, amore. Spengo e arrivo.” Per qualcuno, come mia moglie, la vita dopo la guerra è ripresa senza troppe difficoltà; certo niente sarà più come prima, ma c’è chi si adatta meglio e chi, come me, invece non riesce a farlo più. “ Quanto ci vuole ancora?” “ Ho fatto. Lo sai che il fuoco va spento bene prima di andare a dormire!” Sarà meglio che riesca ad addormentarmi in fretta davvero, stasera. Domattina devo lasciare la caverna e scendere alle rovine della città per trovare altri rottami da bruciare, che sta arrivando l’inverno.

CRISI DI IDENTITA'

Tornando a casa, vengo assalito dal mio vicino. “ Chi è lei? Perché sta armeggiando alla porta del Benucci?” Scuoto la testa, pensando che abbia ancora ceduto a un suo vecchio vizio e entro. Appena sono dentro, il cane mi abbaia: neanche lui mi riconosce. Esco, smarrito e vado da mia madre. Le suono il campanello, si affaccia alla finestra e mi apostrofa: “Guardi, non abbiamo bisogno niente…” e richiude le persiane. Per la strada tutti mi guardano come se fossi un alieno. Gente del quartiere, che incontro ogni giorno da una vita. Anche il postino si rifiuta di darmi una bolletta in mano e va a metterla dentro la cassetta della posta. Mi presento da lei. Mi vede. Mi squadra e lo sguardo che incontro mi fa comprendere che sto vivendo un incubo. Ho capito finalmente tutto: la prossima volta col cavolo che mi ossigeno i capelli.

PRESENTARSI MALE

Conoscevo un tizio, un americano, che aveva una reale fobia per Napoli. Non solo Napoli città, ma anche Battipaglia, Aversa, Caserta, eccetera… Un po’ tutta la Campania, insomma. Aveva paura a andarci perché pare che tutte le volte che ci si recava, non appena si presentava a qualcuno, questo lo picchiava. Sembra che una volta anche la polizia, che lo aveva fermato a un posto di blocco, dopo avergli chiesto le generalità, lo avesse ammanettato e portato in questura. Non si capacitava di questo e quindi aveva deciso che in Campania non sarebbe più tornato. In altre zone d’Italia questo non succedeva, anche se a Milano, una volta, un pugno se lo era preso, ma gli era sembrato che quello che glielo aveva dato, avesse parlato con un accento proprio napoletano; era una persecuzione. Veramente una storia strana e particolare quella di mister Kit M. Worth.

UN RACCONTO DI HALLOWEEN

Il ragazzo stava tornando a casa, percorrendo la strada provinciale. Aveva fatto tardi alla festa di Halloween e cominciava a sentire il sonno farsi strada nella sua coscienza. Non vedeva l'ora di gettarsi sul suo letto e dormire; meno male che aveva bevuto poco, perché l'indomani, nel pomeriggio, avrebbe dovuto andare con suo padre al capanno di caccia per aiutarlo con delle riparazioni e dover combattere con l'hangover non era il massimo in quelle situazioni. Stava sbadigliando quando sul ciglio della strada vide una ragazza, in abito sbracciato da sera, che tremava, forse per il freddo, forse perché stava piangendo. Si fermò e le chiese se avesse bisogno di aiuto. "Ciao. C'è qualche problema?" "Sì. Mi hanno lasciata qui e devo tornare a casa..." "Sali, ti accompagno io!" "Grazie. Mi chiamo Mary ed abito nella casa alla fine della strada dopo il distributore di benzina." "Ho capito: conosco quella strada, ci p...

AUTOGRILL

Il nostro rapporto è finito in autogrill.  Anzi mi hai lasciato tu.  A nulla sono valsi i ricordi dei bei momenti passati insieme, la giovinezza che ti ho donato, le coccole che ci siamo scambiati.   Avevo notato un cambiamento nel nostro rapporto: non mi cercavi più.   Forse è colpa mia, perché non ero più lo stesso. Ero invecchiato, avevo i miei acciacchi, il mio ingombrarti.   Cercavo di darti ancora affetto e tu lo rifiutavi, ma il problema ero io che non sapevo dartelo come avresti meritato.   Eri il mio mondo e ancora credo che tornerai da me e ti aspetto.   Sarò bravo e mi vorrai di nuovo bene e soprattutto non abbaierò più di notte.

AMORE AL RITMO DELLE MAREE

 Thorvald era innamorato.  Poteva vedere il suo amore soltanto una volta al giorno, ma quegli istanti passati insieme erano tutto il suo mondo e gli bastavano per tirare avanti con la propria vita.   Doveva essere molto attento, perché il suo amore era disponibile per lui unicamente in determinati momenti e se non fosse riuscito a vederlo in quelli, l’avrebbe potuto solo sognare fino al giorno dopo. Adesso mancava ancora poco al loro ricongiungimento; presto la marea sarebbe calata e il relitto della nave di suo padre sarebbe uscito dalle acque, vicino agli scogli.   Su quella nave suo padre aveva perso la vita e la sua visione era l’unica cosa che ancora lo legasse a lui. Ricordava le volte che lo portava in mare, ricordava tutti i marinai e ricordava la prima volta che vide la polena.   La prima volta che si innamorò di un amore che durava tutt’ora.